Maestri dimenticati. Adolfo Omodeo e la rinascita di una nazione.



Il libro da leggere nel centenario dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra, è Momenti della vita di guerra .Dai diari e dalle lettere dei caduti.(1915-1918) di Adolfo Omodeo, prima edizione 1934. Consiglio di cercare una edizione arricchita dall’introduzione di Alessandro Galante Garrone. Da leggere soprattutto perché non ha nulla di simile alle esaltazioni delle virtù guerriere o ai lamenti sulla ‘vittoria mutilata’ che abbondavano nella letteratura di regime, ma è “una storia spirituale della guerra”. Attraverso la raccolta e la cura delle lettere e dei diari dei soldati, Omodeo vuole far capire agli Italiani che nell’esercito che ha combattuto la Grande Guerra viveva “un’anima che li resse; che circolò nella parola sussurrata nella trincea; che urtò contro i motivi eterni dell’egoismo e della conservazione personale; che sofferse e pianse la famiglia lontana, il dolore assiduo, i compagni caduti; che si levò nell’ebbrezza degli assalti; che spasimò nei rovesci”.

In guerra, come molti della sua generazione (nasce a Palermo nel 1889), Omodeo va volontario nel 1915. Si è laureato tre anni prima, nel 1912 con Giovanni Gentile, difendendo una tesi su Gesù e le origine del cristianesimo (pubblicata nel 1913). Nel 1914 sposa Eva Zona sua compagna di studi. Prima dei Momenti della vita di guerra aveva pubblicato Storia delle origini cristiane (1925), La mistica giovannea (1930) e i primi suoi studi sul Risorgimento : L'età del risorgimento italiano (1931) e Figure e passioni del Risorgimento italiano (1932).
Il Cristianesimo antico, in particolare Gesù e Paolo di Tarso, e il Risorgimento sono i grandi temi della sua biografia intellettuale. Proprio perché si avvicina al Risorgimento da storico del Cristianesimo, capisce che quell’esperienza ha avuto “una vita religiosa sua interna, tale da ridurre e risospingere in ristretti limiti le esigenze del cattolicesimo gesuitico”. Pur se non hanno realizzato una riforma religiosa, gli uomini del Risorgimento “vivevano una fede nuova” che li spinse a lottare per il popolo. Si sono adattati a essere loro la nazione, “come i settemila Israeliti che ai tempi d’Elia non avevano piegato il ginocchio a Baal, costituivano il vero Israele”. Hanno creduto nel popolo e nella nazione, “hanno avuto l’ossessione dell’edificazione del popolo. Se l’opera non riuscì completa, fu perché un popolo non s’improvvisa in cinquant’anni. Si dovevano formare le tradizioni secolari, mentre la nazione italiana era completamente nuova”.
Mentre il fascismo proclamava una concezione nazionalistica della patria, il Risorgimento affermava una concezione universalistica. Tutti gli uomini del Risorgimento, da Mazzini a Cavour, da Garibaldi a Settembrini, scrive Omodeo, “avevan coscienza di lavorare e di soffrire, oltre che per l’Italia, per un ideale universalmente umano, che valeva per tutti i popoli”. La loro concezione universalistica della patria era espressione della loro religiosità. Mazzini, spiega Omodeo, aveva una “fede adamantina, che soggiogava gli spiriti e li travolgeva in un’onda di entusiasmo religioso”. Vedeva la resurrezione dell’Italia quasi come la rivelazione di un’assistenza divina al popolo, come il premio della sua “eroica e religiosa fede” nei suoi destini.  La democrazia non era per lui esercizio della sovranità popolare, ma elevazione etica del popolo. Non era in realtà possibile, conclude Omodeo, “sostituire alla religione cattolica la vaga religione mazziniana del progresso, così sostanziata di dottrine filosofiche. Tuttavia questa fede fasciò molti di coraggio di azione e invece di sgomentarli nel calcolo obiettivo dei fatti, li esaltò sino al martirio”.
In Momenti della vita di guerra Omodeo tratteggia immagini insieme delicate, divertenti e toccanti. Il livornese Leonardo Cambini, per citare un solo esempio, era professore in una delle scuole normali di Pisa, vivace, allegrone, sempre pronto agli scherzi e alle beffe, dalla fecile e colorita bestemmia, ma che da Mazzini aveva tratto quale suggello dell’anima “un senso religioso della vita”, che è comandamento austero che non si discute. “Quest’ idea laica di religione”, spiega Omodeo, “egli la esprime nelle sue lettere in forma semplice, popolare, ma più efficace d’ogni speculazione tecnicamente filosofica.”Io non pronuncio mai una preghiera, scriveva Cambini alla moglie, “ma ogni volta che si opera per un’idea di dovere, ogni volta che si figge lo sguardo nel dominio del soprannaturale, e si vive in comunione di spirito coi nostri, che ci vivono attorno invisibili, non è questa un’elevazione dell’anima, non è un innalzare l’anima nostra verso Colui che è il Principio e la Fine?”.
Quando racconta la storia di due eroi come i fratelli Garrone - Giuseppe (Pinotto) ed Eugenio – Omodeo trova accenti di poesia pura: “Uomini come i fratelli Garrone, “parleranno un’altra voce: esprimeranno i sentimenti  e le speranze di tanta parte dell’Italia che si lanciò in guerra per una più alta giustizia umana, col senso della tradizione mazziniano-garibaldina d’Italia. Parleranno essi per tutti, perché con più fede e con più risoluta dedizione si offersero, e la luce del loro sacrifizio si riverserà su tanta parte delle grigie e oscure vicende della guerra; perché l’umanità va considerata nelle altezze a cui si leva, e non nelle radici con cui si confonde con la natura [...] Gli ideali umani risorgon come Cristo e ritesson la loro tela, e solo in essi, nella loro temperie si ritrovano e si riconoscono i popoli. “Non de solo pane vixit homo”.
Scrivere di storia, e narrare i momenti della vita dei soldati italiani nella Grande Guerra, durante gli anni del fascismo trionfante, è per Omodeo il modo di testimoniare la religione della libertà che Benedetto Croce aveva spiegato nella sua opera forse più bella, la Storia d’Europa nel secolo XIX (1932). “Quasi tutta la nostra produzione aveva un significato polemico e agonistico. Ma dire che la polemica alterasse la verità, che noi falsassimo la storia o la filosofia sarebbe calunnia. [...] Man mano che passavano gli anni più acuta e pungente diventava la nostra passione. La libertà la vivevamo davvero come una religione, talora col dubbio di non vederla più spuntare sul nostro orizzonte”.
La libertà ha fatto invece a tempo a vederla rinascere e si è impegnato con tutte le sue energie, come rettore dell’Università di Napoli, come ministro della pubblica istruzione e addirittura come volontario nell’esercito italiano affinchè si irrobustisse. Nell’aprile del 1944 pubblica a Napoli col titolo Per la riconquista della libertà i discorsi che ha tenuto e le pagine che ha scritto dopo la caduta di Mussolini. Nella breve premessa c’è tutto il suo testamento morale e politico: “ho cercato di chiamare a raccolta gli uomini di buona volontà per la salvezza del paese, di eliminare le vergogne superstiti di un ventennio di tirannide, di riprendere le tradizioni mazziniane del Risorgimento e di orientare gli spiriti verso un’unione europea, che dissipi i delirî dei nazionalismi e le grettezze anguste dei semplicismi fanatici”. Muore il 28 aprile 1946.

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